Una critica di Raffaele Nigro
Raffaele Nigro è uno scrittore, giornalista e saggista italiano nato a Melfi (Potenza) nel 1947, ma strettamente legato alla città di Bari, dove ha svolto gran parte della sua attività professionale. È noto per la sua narrativa ricca di riferimenti storici e culturali legati al Meridione d’Italia.
Ha lavorato per molti anni come giornalista e autore radiotelevisivo presso la RAI di Bari, contribuendo alla promozione della cultura e delle tradizioni del Sud. Tra le sue opere più celebri spicca il romanzo “I fuochi del Basento”, vincitore del Premio Super Campiello 1987, che esplora il brigantaggio postunitario in Italia.
Nigro è anche autore di saggi, racconti e opere teatrali, e la sua produzione letteraria è caratterizzata da una profonda attenzione verso le radici storiche e culturali del Mezzogiorno, intrecciate con una forte sensibilità contemporanea.
C’è una impressionante fuga di balconi dal balcone di Esposito, un taglio tra le prospettive monumentali che si precipitano sul mare, il bianco della pietra e, in fondo, il cobalto del mare. Ed è un destino neoclassico quello del nostro pittore, che vive in un palazzo della Bari di inizio secolo, tra opere che incombono con la forza del mito, della storia e danno al visitatore un effetto straniante. Benvenuti nel mondo degli dei.
Giorgio Esposito vive tra Corato e Bari, metà della sua vita si consuma tra automobili e attività didattica, l’altra metà il pittore la riserva a una didattica della propria mano, del proprio cuore. Vive in un quarto piano a realizzare modelli di cera e di gesso attraverso i quali studiare come Rembrandt abbia potuto riprodurre un bue squartato, come Poussin abbia potuto dipingere con l’apollineità che gli sappiamo, come Leonardo, Piero della Francesca e Durer abbiano consumato le loro ore sui trattati delle geometrie e delle anatomie. Se n’è fatto anche delle riproduzioni, ha rappresentato su manifesti che trovi appesi ai muri dello studio i rapporti geometrici e la struttura dei volumi nel corpo umano, nei corpi animali, sui cavalli. Esposito è un rinascimentale e poi è un arcadico ma è anche un neoclassico. Voglio dire che è tutte quelle cose e quei momenti che hanno a che fare con la pittura colta, con la grande tecnica pittorica in cui c’è da dare prova che la mano ci sa fare col disegno e la mente è pronta a smarrirsi nei giardini di un’arte senza tempo abitata da dei da eroi da miti.
Giorgio Esposito è il guardiano dell’Olimpo.
La faccenda va così, che il pittore non si è accorto dell’esistenza della pittura classica e del classicismo al tempo della Nuova Maniera Italiana, ma se n’è accorto quando ha mosso la lingua e ha sentito che ne venivano fuori accenti greci. Esposito è nato infatti da genitori di Corfù e oggi parla correntemente il greco e frequenta abitualmente turchi e greci.
Questo non vuol dire che tutti gli artisti greci per essere nati laggiù debbano dipingere dei e eroi ma in lui è accaduto così. Lui ha poppato latte e mito, un’abbeverata dai seni di Veneri Giunoni Minerve Diane che non lo hanno abbandonato mai più. Esposito vive dunque tra l’Olimpo e il quartiere murattiano di Bari, anzi tra la via Appia che a Corato subisce una brusca interruzione e Bari. È accaduta la stessa cosa a un altro italo-greco, De Chirico. I templi e i marmi parii di Volos e dell’Attica gli hanno fatto vedere Dei e Fauni e Ninfe dappertutto. De Chirico non si è liberato dai fantasmi metafisici per tutta la vita. Così Esposito. E l’aver traslocato nel giardino degli Dei lo ha portato a pensare che l’arte è il luogo del non tempo, cioè è un luogo dove il tempo si azzera e gli uomini possono esprimersi al modo in cui più gli aggrada, senza regole, senza tener conto del prima e del poi, delle correnti, delle forme e delle formule. Esiste infatti solo la bellezza nel mondo dell’arte e l’artista è impegnato a rappresentarla.
Ci fu un tempo in cui la bellezza coincideva con la spontaneità creativa, Giorgio Esposito non nega che in quelle circostanze usasse mettersi davanti a una tela bianca, chiudeva gli occhi e imbrattava con le mani, alla maniera dell’avanguardia americana degli anni settanta. Risultato? La propria interiorità sviscerata come una spruzzata di sangue. Poi si è stancato di questo meccanicismo creativo e ha ripreso gli studi, ha rispolverato gli insegnamenti della pittrice Enedina Pinti Zambrini, dalle cui mani erano usciti De Robertis e D’Ingeo. Per il bimillenario oraziano Esposito si è gettato in un’impresa colossale e ha rappresentato il poeta di Venosa nella battaglia di Filippi, tra cavalli, lance, corazze, scudi. Poi una serie di amori mitologici con finale tragico, come Apollo e Dafne e Andromeda e Perseo.
Ultimo atto di questa serie mitologica un Fetonte che precipita col suo carro dal centro del cielo. I cavalli alati hanno perso improvvisamente la leggerezza e precipitano pesantemente, vanno a schiantarsi su qualche roccia dell’Attica o nell’Egeo. Con quel carro è precipitato all’improvviso anche Esposito, ma non è caduto in Grecia è caduto nella Bari medievale, in una delle tante vie che portano alla Basilica di San Nicola. Giorgio è apparso a San Nicola e gli ha raccontato tante di quelle storie di pellegrini e di artigiani e di poveri cristi che alla fine il Santo gli ha detto: non capisco, raffigurameli.
Giorgio Esposito si è gettato a capofitto nella raffigurazione di tutto un mondo di margini ricorrendo a una ritrattistica fine, puntigliosa, analitica, tra pittura americana degli anni trenta e iperrealismo. Perché uno come lui, con quella mano diabolica che si ritrova, può fare di tutto in pittura e in disegno. E come guardiano di San Nicola oggi lo trovo più poetico che come guardiano dell’Olimpo, dal momento che dal Rinascimento ai Neomanieristi si sono divertiti in tanti a osannare gli Dei e a fuggire in luoghi e in tempi lontani dal nostro, dalla realtà, dalla quotidianità. A fuggire dal presente. Anche se a parlarne con Giorgio si ostina a dirti che è solo rapito dalla bellezza, che la bellezza vera è sì nel mondo pagano, ma lo è anche nella tradizione evangelica e biblica, lo è insomma dovunque la mente riesca a figurarsi creature meravigliose.
Tuttavia se debbo credere alla psicanalisi, Fetonte che cade pone una cesura, un prima e un poi nella ricerca di Esposito, nel senso che il pittore corfiota-barese se pure continua a fuggire nell’altrove della storia e del mito, torna più frequentemente a raccontare le cose infelici e a rappresentare gli uomini e le situazioni che vivono intorno a noi.
RAFFAELE NIGRO