Una critica di Elvira Sarli Gianfaldoni
Elvira Sarli Gianfaldoni è un’autrice italiana nota per opere come Come orme lasciate sulla sabbia e Ritrovarsi a Vienna, che esplorano memoria e relazioni umane.
Quando un brano musicale, una poesia, un quadro si possono definire “opera d’arte”? Quando comunicano qualcosa, non importa se coincidente con l’intenzione dell’artista proprio perché nella libertà dello spirito è la radice dell’arte. È quello che mi è capitato di recente per le opere di Giorgio Esposito. Intanto una sensazione di profonda pace interiore, derivata dall’uso del colore: toni che vanno dal bianco al grigio-beige; azzurri evanescenti; caldi “terra di Siena” o rossi, un tocco appena, nel taglio di un libro, nel cuore di un melograno, o giallo-verdolino: tonde melecotogne che trasmettono insieme profumo e sapore. Ma accanto a queste composizioni, eccone altre, diverse anche nelle dimensioni. “Fetonte precipitato dal carro del sole”; “Ecce homo”; la “Battaglia di Filippi”; la “Resurrezione”, che ci riportano alla storia più nobile della pittura e non solo per gli “argomenti”, per la maestria del disegno e l’uso del colore, appunto. Un uso interiore, direi, nel senso che non “descrive”, ma spiega quel che i protagonisti si portano dentro di umiliazione, sofferenza o liberazione.
Bisognava, dunque, incontrare l’autore di questo “mondo” così diverso da quello che siamo abituati a vedere intorno e dentro le opere d’arte. Dunque, Giorgio Esposito è nato a Bari, per la cronaca nel 1952, si è diplomato all’Accademia di Belle Arti della città; è stato allievo della pittrice Zambrini Pinti, allieva a sua volta di Fattori. Ha partecipato a numerosissime mostre personali e collettive; ha vinto il 1° Premio Internazionale di pittura tenuto a Mantova nel Palazzo Te. Questa è l’elementare “scheda” che fornisce di sé. Giorgio Esposito si appassiona, invece, parlando della sua concezione dell’arte. Anticipo che è così diversa da quella moderna. Non è d’accordo. “È moderno, dice, tutto ciò che è legato alla filosofia, alla teologia, alla scienza del nostro tempo. Quando manca questo legame si deve parlare di arte contemporanea. Così sono le opere d’oggi.
Riporta il pensiero del famoso Severini, autore di un volume fondamentale “Dal Cubismo al Classicismo”, edito solo in Francia, pensiero che pienamente condivide. Nelle opere d’oggi, non c’è prospettiva, quindi si può parlare solo di decorazione. Bisogna partire dal Rinascimento quando, appunto, nasce la prospettiva. Prima, e l’arte bizantina ce lo testimonia, Dio era al di là della materia. Nel Rinascimento, ma già a cominciare da Giotto, lo spirito “si fa carne” e dunque l’arte non deve andare “oltre”, ma imitare la materia. Non solo. Leonardo diceva: “Non dipingere mai gli abiti che si usano nel tuo tempo” nel senso che la pittura non deve essere legata al tempo dell’artista.
Mentre Giorgio Esposito parla, continuo ad osservare le sue tele. “Allora, gli domando, non si deve cercare un significato?”. “Anzi! L’arte è comunicazione. Se un comico vale riesce a far ridere o quasi, così l’artista deve dipingere ogni cosa per quel che è”.
E non sono parole. Usa fare, come facevano Michelangelo, Tintoretto, Veronese, Degas, modellini in cera o argilla degli “elementi” – uomini, animali – che “entreranno” nelle sue composizioni. Li accosta, li illumina, li trasforma fino a raggiungere il risultato che gli corrisponde. Ha studiato sui libri di anatomia perché quei corpi – uomini, animali – non risultassero inventati, ma come realmente sono, ossa, muscoli e sangue. Ho pensato agli allievi del prof. Giorgio Esposito dell’Istituto d’Arte di Corato, dove insegna. Li ho invitati, sperando che almeno uno di loro sappia mantenere accesa quella fiaccola che, non è retorica, il loro Maestro ha ereditato oltre il tempo e lo spazio dai “grandi” della pittura ed è l’unica capace di illuminare fin nel profondo lo spirito umano.
ELVIRA SARLI GIANFALDONI