Una critica di Maria Marcone
Maria Marcone (Foggia, 7 aprile 1931 – Bari, 15 gennaio 2014) è stata una scrittrice e insegnante italiana. Laureata in Lettere classiche all’Università di Bari, ha insegnato materie letterarie, latino e greco nei licei. Autrice di numerosi romanzi, tra cui “Le stanze vuote” (1967) e “Analisi in famiglia” (1977), ha affrontato temi legati all’identità femminile e alle dinamiche familiari. Dopo l’assassinio del fratello Francesco Marcone per mano della mafia nel 1995, ha scritto “Storia di Franco” (1998), in sua memoria. Ha alternato alla scrittura la pittura e la poesia, ottenendo riconoscimenti anche in questi ambiti.
Questo Cristo in realtà esprime più di tutte le altre tele un apice di sofferenza superata e sublimata in una donazione che è supremo atto d’amore.
Sta infatti, questo Cristo dal corpo verginale levigato puro, disteso immobile su un nudo marmo bianco, quasi sospeso in un cielo buio che può essere il vuoto siderale o la rappresentazione dell’infinito spazio al di là di ogni volume spaziale; pochi, discreti, i segni del martirio, non più di due tracce di sangue nel candore di un corpo perfetto: non quegli sfregi e quegli strazi con cui di solito viene raffigurato il Cristo morto, a indurre rimorsi dell’anima contrastata dal peccato e struggenti mea culpa.
Solo un altro Cristo, che io sappia, ha l’apollinea purezza di questo, ed è il Cristo della Pietà michelangiolesca; ma il candore marmoreo di quel corpo mollemente abbandonato in braccio alla madre trasferisce tutto su quest’ultima lo strazio e la lacerazione d’anima, sicché l’effetto è lo stesso che si prova davanti alle altre pietà.
Invece il Cristo di Giorgio Esposito naviga al di là del dolore al di là della morte, è un Cristo nel quale già sta compiendosi il miracolo della Resurrezione, sicché pare offrirsi in dono perpetuo agli uomini, simbolo palpitante di quel suo cannibalico sublime invito a cibarsi della sua carne perché la sua carne è fonte di vita eterna.
Sicché ti trasmette una commozione rasserenante.
Ecco perché parlavo prima di supremo dono d’amore: questo Cristo di Esposito è in realtà un Cristo levato in alto sospeso nel vuoto come un’ostia consacrata levata verso il cielo nell’Offertorio.
E la magia dell’Arte è tale che la creatura stessa ne esce riscattata purificazione innalzata.
MARIA MARCONE